"E il cielo si ritrasse,
come una pergamena che si arrotola..."

Enrico Mazzone –

artista

20.02.2021

foto: Eros Antonellini

– Vorrei cominciare dalle cose che riguardano personalmente te perché mi interessa sempre dove e come si forma la persona, l'ambiente, la famiglia.

– Certo, e ti ringrazio perché non è una tipica domanda. È importante che mi associ ad un luogo dove sono nato e cresciuto: Io sono molto legato ai miei luoghi ed ai miei genitori, sono figlio unico, nasco a Torino nel 1982, oggi ho la gioia di avere 38 anni, anche se gli ultimi 5-8 anni sono stati un po' complicati (perché ho preso le mie scelte nello slegarmi un po' dal mio ambiente e visitare qualcosa di nuovo che mi desse la possibilità di suggestionarmi) vedendo i nuovi luoghi, potendo utilizzare la fantasia in un momento di creazione. E la cosa curiosa e buffa è la scoperta che sentendo la lontananza, la distanza dai miei luoghi, ho iniziato ad immaginarli in un modo diverso. Quindi non era più il nuovo posto, come pensavo prima di partire che mi desse i nuovi impulsi, ma il ricordo dei luoghi dai quali provenivo. Pensavo ad esempio di vedere i ghiacciai di Groenlandia, dove sono stato per qualche tempo e ne sono stato effettivamente entusiasta, però quando ero lì, ripensavo all'effetto e quindi è venuto il processo quasi contrario che comunque mi ha portato a pensare alla lontananza. E dalla lontananza, dalla prospettiva ho ricreato il mondo circostante. Come credo che capiti un po' a diverse persone le quali pensano di trovare una nuova fonte d'ispirazione ripensando poi: "Ah, com'era bello quel paesaggio!" o "Come si stava bene con quelle persone!"

– La tua famiglia è legata in qualche modo all'arte?

– In realtà i miei genitori mi hanno suggerito le indicazioni su come vedere il mondo attraverso lenti emotive d'Arte, ho avuto la fortuna di averli molto sensibili e mi piace ancora pensare che non sono stato indotto a un percorso artistico, ma mi hanno dato la libertà di scelta per trovare la strada dove posso adattare la mia personale emotività. Mi hanno supportato con entusiasmo e qualche difficoltà  mentre le mie scelte hanno piallato l'identità. Si venne così a  formare il processo senza necessarie forzature imposte da persona alcuna.

– Quando ti è venuta in mente l'idea di diventare l'artista?

– Su questo so bene che mio papà e mia mamma sono molto più perspicaci nell'essere i veri creativi, perche mi hanno passato la conoscenza oltre alla sensibilità, con la quale in modo più puro e meno tecnico ho imparato a pensare le cose un po' diversamente, ad adattarle al mio modo di immaginarmi il mondo. Quindi sono andato a ricercare nella sensibilità tutto quello che avrei voluto poter vivere, e che oggigiorno effettivamente dopo gli anni di pazienza, di lavoro sono riuscito a perseguire. Poi il disegno, la tecnica che ho poi iniziato ad utilizzare per esercitarmi a vedere un mondo più bello.

– Hai studiato a Torino?

– Sì. Tra Torino e Moncalieri.

– Il processo dell'insegnamento è stato classico o con gli elementi moderni?

– Il liceo che ho fatto è scientifico. Questo mi ha aiutato molto ad imparare una tecnica epistemologica di come risolvere i problemi arrivando a una catena: ipotesi, antitesi e tesi. Poi mi sono legato al percorso all'Accademia Albertina delle Belle Arti a Torino e questo mi ha aperto molti orizzonti perche venivo da un percorso scientifico e già più addolcito da un'estetica legata alla poesia del teatro perche ho scelto la scenografia teatrale. Diciamo che è stato un mix tra una struttura solida, scientifica e una poetica direi metatestuale ma che poi ho riadattato al piano visivo, essendomi interessato alle incisioni e all'arte figurativa.

– L'arte classica ti ha influenzato molto?

– Direi di sì perché in parte la mitologia mediterranea che deriva dai grandi classici greci mi tocca, mi piace, mi sento che proprio mi stimola, perché è il mondo legato alle possibilità di spiegare con il mito delle situazioni che non potevano essere spiegate in un altro modo. Quando non si poteva spiegare il mondo con l'approccio scientifico, veniva l'arte. Il mito aiutava ad addolcire con una spiegazione molto fantastica il processo della nostra evoluzione e questo mi ha molto stimolato. Perché è un modo per scendere all'incoscio. E quindi questo modo classico fin da subito spiegare con i miti la nostra stessa evoluzione mi è molto interessata. Ed ha influenzato la mia evoluzione nel disegnare.

– Quali artisti ti sono più vicini?

– Allora, partiamo dai pittori: il pittore che è per me molto caro è Hieronymus Bosch, Grünewald, quella estetica fiamminga legata ai dettagli, ai paesaggi, alle nebbie, alle brume, sicuramente che l'artista classico italiano si pensa legato ormai al clima mediterraneo, tuttavia io ho avuto questo richiamo dall'arte del Nord, più dettagliato, legato più ai temperamenti e tratti fisiognomici rispetto all'arte rinascimentale. L'arte gotica mi piace molto. La preferisco a quella dell'Umanesimo. Ed io sono legato al livello estetico al Medioevo come al preludio dell'Umanesimo e al Rinascimento. Quasi come parlando del preludio wagneriano che permette ancora di comporre le immagini prima che si manifestino. C'è ancora un attimo di convulsione, di torsione, della filosofia dell'immagine stessa prima che diventi esageratamente bella. Quindi preferirei più l'arte figurativa. Per quanto riguarda l'architettura posso nominare Mies van der Rohe o Le Corbusier che possono farci adattare più al paesaggio, alla natura. La musica influisce molto sul mio processo creativo perché mi fa stimolare quello che non si può vedere. Quindi quello che ho cercato in questi anni di riprodurre con i disegni viene dal mondo intelligibile, metafisico e la musica mi ha fatto condensare le immagini che ho, che si formano nel frattempo e riesco a trascriverle sui fogli di carta.

– Ti volevo proprio chiedere se c'è qualche arte non visuale che fa importante parte della tua vita. Tu hai parlato della musica e allora puoi dire che tipo di musica ti piace?

– Mi piace la musica dell'epoca romantica, quello che è stato definito come "Sturm und Drang" dal partire dalla fine del Settecento all'Ottocento. Per me Wagner è un'impronta tellurica, che è in grado di scuotere l'anima. Poi ascolto un tipo di musica che mi fa ascendere, che possa farmi meditare, contemplare e poi che va all'unisono ai puntini che traccio con la matita, quindi deve essere qualcosa di sottofondo.

– Siccome non ho visto le tue opere che hai creato prima del momento attuale, come puoi caratterizzare il tuo proprio stile, che tecnica usi?

– Ho iniziato a disegnare con la matita. A me piacciono molto le incisioni più che pittura figurativa perché è come la quintessenza della pittura, come se fosse la trama, la parte più solida, che non si può vedere in superficie. Però l'incisione è quello che non ho potuto studiare all'Accademia delle Arti perché non c'era nel nostro percorso proprio teatrale. Poi ho cominciato a disegnare come se stesse incidendo per cui ho provato ad applicare l'idea di «puntinare» per cercare di incarnare quell'idea di chiaroscuro, quel tipo di chiaroscuro che permette i contrasti, i volumi, le luci, le ombre, il distacco dell'immagine principale dallo sfondo. I disegni di Michelangelo mi hanno fatto sempre cercare di comporre i gruppi figurativi molto scultoree, con la gesticolazione un po' accentuata utilizzando sempre questa tecnica a puntinate.

–  Dopo aver letto qualche informazione su di te ho capito che sei una persona aperta al mondo, che ti piace viaggiare. Quali paesi hai visitato? Dove ti sei sentito più a tuo agio e quale paese ti ha colpito di più?

– Si, ho visitato i paesi del Nord e la prima cosa che ho sentito è il contrasto di stare molti anni nei luoghi natali ed abituali e poi trovarti in Groenlandia. È stata un'impressione sicuramente inaspettata. Inizialmente ho visitato Danimarca, successivamente Finlandia, poi Islanda, Lapponia e dopo ho passato cinque anni in Finlandia in città di Rauma dove ho operato il mio lavoro. E in tutti questi viaggi ho vissuto le situazioni indimenticabili. Ho dei ricordi ancora freschi.

– Quest'idea di incarnare l'Universo di Dante ti è venuta dopo aver ricevuto la bobina di carta lunga 97 metri e alta 4 metri o ci riflettevi da tempo?

– La carta è stata un po' «Deus ex machina», è stata una manifestazione di quello che ho già riflettuto da anni. Da venti anni circa sto completando le illustrazioni del percorso dantesco nel mondo spirituale. Senza leggere troppo il testo già letto prima diverse volte, ho cercato di reinterpretarlo in un percorso perché sarebbe stato troppo semplice, troppo scontato reinterpretare il testo. Allora ho pensato all'importanza del metatesto ovvero dei significati ermetici, sibillini, onirici che si sono creati via via nel corso di questi secoli e per non "coverizzare" le incisioni di Doré ho pensato in modo molto istintivo di creare un mio percorso basandomi sul metodo Dante. Non andare neanche troppo lontano perché i riferimenti della "Divina Commedia" sono degli archetipi, sono dei rimandi atavici, che hanno preso una forma secondo quanto Dante è riuscito a portare. Però essendo comuni a tutti noi, essendo i patrimoni subconsci che abbiamo, ho dato il libero sfogo ai miei, cercando di non sforare troppo e riproporre qualcosa che fosse totalmente diverso da chi si aspetta di vedere i riferimenti al testo. Quindi la reinterpretazione prende gli stessi riferimenti del testo, ma in base alle mie proprie sensibilità. Il foglio ha le dimensioni un po' ingombranti e siamo tutti eccitati nel vedere questo disegno alla luce perché finora è stato sempre lavorato a moduli perché dei vari studi dove sono stato in questi anni erano ovviamente disposti per lavorare solo sul quattro metri per quattro. Chissà come sarà il disegno nella sua completezza, che tipo di emozioni possa dare. E ci investo molto sulle emozioni perché non c'è il testo di "Divina Commedia" che sia pronto per rivedere le cose e gli argomenti in modo totalmente autentico.

– È inutile chiedere come Dante è entrato nella tua vita perché è ovvio che lo studiano a scuola e poi all'Università, ma noi sappiamo che c'è Dante come una figura ufficiale "del sommo poeta" e c'è il nostro proprio Dante. Quando hai incontrato il tuo Dante?

– Innanzitutto Dante essendo il riferimento per ognuno di noi, lo vediamo quasi come una bussola, in un certo momento, come lui stesso nel incipit più conosciuto esplora, incontriamo quando ci perdiamo dalla retta via, da quella che è la nostra idea di vita. E c'è un momento di smarrimento che ci porta comunque a vedere un po' i passi dai quali veniamo. Credo che ancora una volta Dante torni come l'archetipo in una fase in cui noi dobbiamo in qualche modo revisionare il nostro percorso fatto. Personalmente io in un periodo non troppo caotico però metaforizzando il futuro, provando a vedere dove avrei potuto virare al primo bivio, ho avuto un attimo di dispersione quindi probabilmente 8-10 anni fa ero in una direzione d'arrivo e avendo immaginato che la direzione d'arrivo sarebbe stata il nuovo punto di partenza mi sono rimesso in discussione. Che si chiami Dante o che si chiami Shakespeare, o che sia un'altra figura rettorica nella storia... ma abbiamo tutti quella potenzialità, abbiamo la possibilità di creare per volontà la vita che vorremmo avere. Se c'è qualcosa che non ci torna nei conti, perché non creare ex novo, un nuovo modo di contemplare quello che abbiamo vissuto e dove vorremmo arrivare. Non è facile perché potremmo essere raccolti dalle certezze delle quali già disponiamo. Invece con un percorso non necessariamente drammatico, lungo e tortuoso però molto più rallentato abbiamo tutti, come l'ho avuto io, la volontà di poterlo percorrere. Per arrivare poi a capire solo dopo in un altro punto di vista da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo – quelle che sono le domande esistenziali. Al livello collettivo e prima del livello collettivo al livello individuale per capire che tipo di contributo dare.

– Hai qualche frammento o il canto preferito di "Divina Commedia"?

– Certo. Posso dire che se non è il mio preferito ma è quello che mi ha dato l'accento sul quale iniziare questo tipo di percorso. Quindi è diventato ovviamente il mio preferito. Proprio perché ho un ricordo molto solido di quando è avvenuto. Il tredicesimo canto dell'Inferno per me è stato un vero incipit perche in una foresta nella quale non ero neanche poi smarrito perché il percorso è già iniziato da sé, mi sono ritrovato in uno scorcio ad ammirare gli alberi così dinoccolati, così avulsi, così contorti, che davvero sembrava di poter prender vita e raccontare le loro storie. Così ovviamente non è stato se non per  la fabulazione e allora ho avuto il pretesto di immaginare cosa effettivamente avrebbero potuto raccontare se fossero potuti tornare in vita. Allora il richiamo di Pietro della Vigna, suicida assieme a tanti altri che hanno compiuto violenza contro loro stessi, mi ha riportato a fare una connessione, un po' forzata, però voglio dire, hanno suonato bene le corde della fantasia di poter disegnare sul foglio di carta che mi è stato dato di recente, cinque anni fa, la loro stessa vita. Quindi l'anima in qualche modo salva doveva essere presa in considerazione per espiare i loro racconti terrestri. Per l'anima intendo la carta che è l'anima dell'albero stesso. E in un posto dove mi trovavo, la Finlandia, ricolma degli alberi a livelli dozzinali, in una sorta d'ipnosi ha iniziato a creare il loop e quindi vedendomi contornato dagli alberi a ogni passo, sicuramente mi trovavo in un luogo in cui la storia non mancava, non potevo già tirarmi indietro da un'impresa che poi si è rivelata ad essere non così difficile come la pensassi ma che richiede appunto il tempo. Un percorso non chiesto da nessuno, se non per epifania divina quasi. Sono dei casi in cui viene chiesto se fosse il segno del cielo, qualcosa da cui non si può scappare. C'è in base la scelta che viene fatta e io ho deciso di compiere questo percorso. Comunque vedi quando parliamo di Dante è troppo riduttivo dare a una o poche persone un'esclusività di trovare, come io la chiamo l'epifania, quell' accento che dia la presunzione di sapere come esattamente le cose accadono. È talmente universale per chi ha la volontà di ascoltare, è condivisibilissimo, è attuale, è necessario, e più viene condiviso con empatia più aiuta a creare questa rete di connessione energica. Per questo si pensa che Dante è per lo più abbia molte chiavi di letture esoteriche in senso lato e in senso buono perché si sente l'energia della quale si accenna, anche se si accenna a un passo.

– Quando leggevi per la prima volta "La Divina Commedia" da chi è stata illustrata?

– La prima "Divina Commedia" illustrata che mi ha colpito è di certo quella di Doré perché fa parte di molte librerie delle famiglie italiane. Abbiamo comunque le edizioni di "Divina Commedia" nelle quali le incisioni del incisore francese deputate come ufficiali appartengono probabilmente all'inclinazione che noi abbiamo in un'età che va da sei a dieci anni la quale ci porta a fare uno scanner in qualche mensola dei nostri genitori e troviamo giusto un'edizione di "Divina Commedia" con le incisioni di Dorè. Parlo al livello collettivo, ma personalmente, mi ha tanto colpito perché sono le incisioni a secondo dei canti che comunque sono molto impressionanti e quindi entrano proprio dentro la pelle. Però quelle che col passar del tempo mi hanno interessato e incuriosito per tecnica pittorica scoprendo poi le varie edizioni sono quelle di William Blake, il pittore inglese, sono liriche, visionarie, sono tanto forti quanto Doré esprime con la tecnica dell'incisione quanto lui utilizza le velature dei colori. Sono godibili, sono belle, i corpi sono quasi michelangioleschi.  Delacroix è un altro pittore francese ed ora posso dire che mi piace come il disegnatore. Quindi c'è il suo quadro "La barca di Dante" in cui Dante e Virgilio sono trainati da Caronte ed i colori sono molto vivi e lividi, scuri, ma raggianti. Questo è un pittore che credo nel 1780-82 tornava un po' come l'eco classica, quello che è stata l'arte classica per eccellenza italiana quindi venivano ripresi degli stilemi da riprodurre. Però non è mai poi compiuto nessun'altra opera tranne questa rappresentazione di Dante e Virgilio sulla barca di Caronte. Altri che mi vengono in mente... Guttuso e Dali hanno fatto delle bellissime illustrazioni. Il bello sta proprio nel vedere che ancora una volta Dante è la fonte d'ispirazione come è stato per sette secoli. Magari tra qualche altro secolo lo vedremo in ologramma. Il teatro lo sta già portando ad un metodo rappresentativo che può benissimo esprimersi nei luoghi esterni, che siano suggestivi alla vista, che siano del teatro innovativo. Quello che però mi ha sicuramente più suggestionato, più rapito nelle intenzioni sono comunque le opere di Doré e di William Blake.

– Come è strutturata la tua opera?

– Innanzitutto il modo in cui ho iniziato ad operare era molto tecnico, pragmatico, scientifico. È stato squadrettare a scala quello che riportavo negli alcuni fogli. Quindi ho messo l'uno a fianco all'altro riuscendo a creare la trama. Certo che è stato un lavoro di pazienza non solo squadrettare ma cercare di riprodurre i vari complessi figurativi ed i vari dettagli. Perché i dettagli sono sempre molto importanti. È bello perdersi in un paesaggio e vedere che in lontananza c'è qualcosa che accade. Posso dirti però che non avendo voluto prendere necessariamente le immagini come spunto ho pensato più a leggere il testo e ad immaginarlo per mio conto altrimenti sarei stato troppo indotto nel rappresentare qualcosa che era già stato fatto in anticipo. Ti dirò di più, il fatto che sia un'unica scenografia orizzontale è stato difficile creare dall'inizio alla continuità verso la fine un unico pianosequenza, un unico punto di vista, che non potrebbe avvenire nella geografia dantesca. Quindi Inferno, Purgatorio, Paradiso in un unico scaglione ha molti versi ed è proprio la cosa che mi ha dato dei limiti per cercare proprio di non creare questa unica parata delle immagini. Dall'altro canto ho dovuto cercare di rendere morbide con le prospettive delle sequenze che venissero in modo armonico senza cercare di stravolgere troppo l'andamento lineare della Commedia. Allora ho pensato perché, disegnando a terra, non renderlo più fruibile a chi lo possa vedere, di innalzarlo poi, grazie a una struttura che lo possa verticalizzare, creando un ciclorama, la percezione nella quale una volta dentro ci si può solo spostare da una prospettiva all'altra sentendosi assorbiti da questa nuova realtà. In questo modo le immagini ed i complessi figurativi che dialogano da un lato all'altro diametralmente opposti della configurazione dovrebbero permettere all'osservatore di essere accompagnato utilizzando l'immaginazione e magari delle luci, l'impianto scenotecnico e una voce narrante che possa permettere i salti tra vari intermondi. Quindi tutto appare diciamo agglomerato nella realtà che più legata al sogno come dice  Calderón de la Barca e ben più semplice essere rapiti da un contesto senza fare neanche troppo sforzo nell'avere un indizio del libro e andare a ricercare i vari canti perché anch'io non riesco a concepire, me medesimo se andassi a vederlo. Ci sono comunque altri due preparatori, due disegni che hanno dimensioni particolari: sono 20 metri per 2 e 5 metri per 1,50 che si sommano. Quindi se il mio ultimo disegno è più una scenografia nella quale i personaggi si stagliano in secondo piano, in questi due disegni ci sono i protagonisti dei vari canti. Diventa ancora più organico come esposizione, non è più bidimensionale e semplice come sembra. Può diventare un percorso multisensoriale.

– Quale cerchio dell'Inferno di Dante è più buio, più terribile personalmente per te?

– Certo che la Giudecca è il punto cardine dal quale l'Inferno stesso si sviluppa. L'idea di ribellione di Lucifero porta allo slancio vitale di peccare di una sorta d'imperfezione rispetto a Cristo Redentore. L'immagine sinottica di Dio Padre per cui credo che forse più che il buio è una sensazione di freddo e di desolazione perché non può esserci un posto peggiore tra i ghiacci dove rendersi conto dell'eternità della propria scontentezza attraverso un rimando di quello che poteva essere "harmonia mundi" di Marsilio Ficino se Lucifero non si fosse ribellato. Voglio dire che per mantenere questa stabilità probabilmente c'è stato questo passaggio che ha portato necessariamente il principe della luce a diventare il principe delle tenebre. Io credo che essendo il punto più buio, così focale da essere persistente nel tempo permette al punto di levata luce di esistere, quindi in realtà il punto più condannabile è proprio quello che regge l'Universo nella sua armonia degli opposti. Credo che sia un disegno Divino quello di aver creato un'entità che possa nella sua malevolenza comunque permettere l'equilibrio, la stabilità dell'Universo che non sia solamente visto sotto una morale cristiana, è una questione anche filosofica.

– Come ho capito, tra i tuoi disegni non c'è né Dante, né Virgilio, però ho visto il tuo autoritratto, o mi sbaglio?

– Sì. Allora, non c'è Dante e Virgilio perché ognuno dovrebbe sentirsi chiamato in causa nel avere questo lusso, questa priorità del sentirsi e Dante, e Virgilio. Ancora una volta dobbiamo parlare della stessa sensibilità. Se viviamo le emozioni in modo diretto, siamo sicuramente più pronti, più protagonisti e più attivi nell'analizzare le questioni. Il mio autoritratto è didascalico perché l›ho messo in un punto in cui ho dovuto necessariamente dare l›idea dell'autore, che in una fabulazione inventa dei tratti che non sono potuti essere spiegati. Altrimenti saremmo ritornati nel loop secondo il quale la "Divina Commedia" spetta a un uomo vissuto settecento anni fa. Quindi si crea da sé che essendo così universale, essendo stato il suo motto quello di divulgare in molte più lingue possibili, permette ad ognuno di noi nel corso della storia di poter prender parte al ruolo dell›autore e dell'osservatore perché tramite la vista che riusciamo ancora a renderci vivi, percependo quello che vediamo e riusciamo a tracciare la nostra retta via. Per questo non è egocentrico, però per stilema era comunque necessario dare un'idea dell'autore. Io non sono l'autore del percorso che Dante fece al suo tempo. Provo a darlo come messaggio a chiunque potrà usufruire della visita dell'opera, di poter creare un passaparola, passare come una fiaccola della conoscenza per dare l'input per creare ancora più percorsi che poi si adotteranno nella similitudine alla "Divina Commedia" che diventerà molto probabilmente in un'ottica futura quello che già adesso è, però ancora più rinforzata dal fatto che diventerà una monade, un'entità che può solo permettere di fare da slancio creativo per opere simili che possano raccontare della vita terrena ed essere il manifesto del tempo che viviamo per le altre persone che tra altri 3-7 secoli potranno ricordarci.

– La tua opera è un intero mondo creato da te, è il tuo proprio viaggio vissuto assieme ai personaggi di "Divina Commedia". Se ricordiamo quest'idea rinascimentale di artista-creatore, tu hai creato un proprio Universo che assieme a molti altri fa parte dell'Universo Divino.

– Sì, diventa estemporaneo. Diventa un metodo, un rigore, un'eco di quello che era e che non si snaturalizza nel suo senso di eco. È universalmente solido come il concetto puro perché probabilmente noi abbiamo dato in questi 7 secoli a Dante un'eccezione nel tutto umana in due lati: un lato della semplicità di operare col cuore e la mente che è tipico dell'uomo che si può considerare anche un difetto ma proprio il difetto che aiuta a rendere tutto più umano. Questo è un concetto. E un altro nel quale siamo abituati a vedere Dante e la sua umanità è il fatto che noi abbiamo un'idea di una persona vestita di rosso che ha scritto uno dei testi più formidabili e stravaganti tanto per il mondo d'oggi quanto per i suoi tempi. Chissà però per Dante chi era Dante? Nell'eccezione in cui Dante diventa poi un archetipo, come si chiamava l'archetipo di Dante per Dante stesso? Perché lui stesso avrà avuto lo stesso richiamo che l'ha portato a fare quello che ha fatto? Però nella ripetizione della storia ci sarà sicuramente stato un suo richiamo spirituale. Credo di aver capito avendo letto in questi ultimi mesi che questi due concetti vanno ad unirsi agli arconti e al pleroma. Il pleroma è un Universo, gli arconti sono le entità che lo abitano. Quindi è una "forma mentis" in realtà ed è giusto che continui ad esserci nel corso del tempo infinito per capire poi. Potremo ovviamente immaginare tante di quelle cose, quando verrà rilasciata, sbloccata quest'eternità. Se sarà un tipo di entità che potrebbe essere liberato dalla sua stessa ripetizione continua. Non abbiamo tutte le risposte e anche è affascinante che sia così. Ma immaginando cosa oggigiorno Dante ci porta in questo percorso di 700 anni si potrà riproporre ad esempio il prossimo anno che non sarà più data di giubileo ma sarà comunque una ricorrenza per capire in base alla storicizzazione nel tempo cosa porta il raccolto di un anno dopo aver passato la Pandemia che è un altro percorso atavico che si ripete...

Un frammento di intervista con Enrico Mazzone:

Ringrazio vivamente Ganna Aleksieieva per l'oppurtunità di conoscere Enrico Mazzone.