"Il viaggiatore viaggia solo…"
Marco Ferrentino –
storico, insegnante di lingua italiana
14.07.2022-07.09.2023
Foto: Aksana DanilčykAksana Danilčyk – poetessa, traduttrice, studiosa di letteratura (Minsk, Bielorussia), una dei partecipanti del progetto “Lente di Fresnel”
– Essendo storico di formazione e dopo aver svolto nella vita diverse attività, come ti presenteresti ad una persona sconosciuta?
– Non è una domanda facilissima. Potrei dire che sono un viaggiatore. Ho studiato la storia dell’Europa dell’Est, potrei dire che mi piace cercare di capire la mentalità delle persone comuni nei vari popoli e nei vari periodi storici. Ma sono tutte le definizioni troppo sintetiche.
– Perché hai scelto di orientarti verso la storia contemporanea e addirittura l’Europa Orientale e l’Asia Centrale?
– Quando studiavo avevo vari dubbi, ero molto affascinato anche della storia antica ma mi interessava soprattutto la storia di quelle Europe che veniva raccontata di meno in Italia. L’Italia è un territorio che geograficamente sta in mezzo al Mediterraneo e quindi tutte le popolazioni europee sono passate dall’Italia. Ma se andiamo a vedere quali sono i programmi che studiano a scuola vediamo che normalmente si studia la storia dei greci, dei romani, la storia della Francia, dell’Inghilterra, a un certo punto compare la Germania, a un certo punto compare la Russia. Però non sono mai approfondite queste. E in Italia c’è la tendenza a essere molto piegati su sé stessi. L’Italia ha un passato ingombrante. E questo passato viene rappresentato spesso in modo molto autoreferenziale. E questo a me non piaceva e io comunque avevo notato che c’erano un’Europa germanica e un’Europa slava che erano altrettanto antiche e che avevano contribuito a formare anche l’identità italiana. Ma questo veniva studiato relativamente poco. Quindi all’Università quando ho dovuto fare delle scelte io ero affascinato da una parte da tutta quella che era la concezione del mondo che veniva dalla Scandinavia e dalla Germania, e dall’altra, da quella che veniva invece dall’Est, dai paesi slavi. Ho scelto di occuparmi dell’Europa Orientale e di occuparmi di storia contemporanea perché alla fine ho deciso che la cosa che mi interessava di più era studiare i miti che si erano creati in Italia su quello che era il mondo slavo. Nei tempi dei mei studi si trattava particolarmente della Russia. Tu parli italiano, hai studiato la lingua e la cultura italiana e hai parlato sicuramente con molti italiani di quella parte del mondo da cui provieni. E avresti sicuramente notato che ci sono sostanzialmente due tendenze che sono abbastanza estremistiche: o a idealizzare la Russia, identificandola con l’Unione Sovietica, come patria dell’uguaglianza e della giustizia sociale oppure a demonizzare la Russia, sempre identificandola con l’Unione Sovietica, come patria di tutto quello che è ingiusto. Quando avevo vent’anni mi rendevo conto che questi sono dei miti, entrambi. Mi rendevo conto che l’Unione Sovietica era qualcosa di più della Russia e di molto più complesso rispetto a queste semplificazioni però non ne sapevo molto. Normalmente quando in un libro di storia di un liceo italiano tu trovi delle parti che si riferiscono a quella parte del mondo, diciamo che sono molto limitate e sono molto tranchant come giudizi. A un certo punto ti dicono che a Est c’era un re pazzo che ha deciso di ammazzare tutti i suoi nobili e la prima volta che questo re pazzo compare siamo ai tempi della cristianizzazione della Rus’ di Kyiv (Kyivska Rus) e lui è VladimirVladímir I, detto il Santo o il Grande (956-1015) è stato Gran Principe di Kiev dal 988 fino alla sua morte. La sua fama è legata alla sua conversione al cristianesimo e al cosiddetto “battesimo della Rus' di Kyiv” nel 988.. Poi qualche secolo dopo arriva un altro re pazzo che uccide tutti i suoi nobili e questo è Ivan il TerribileIvan IV (1530-1584) noto anche come Ivan il Terribile, assunse per primo il titolo di zar di tutte le Russie, titolo che nel 1561 fu approvato dal decreto del patriarca di Costantinopoli: nacque così la teoria che voleva “Mosca Terza Roma”.. Poi compare un altro re pazzo che è Pietro GrandePietro Romanov, detto Pietro il Grande (1672-1725) è stato zar e, dal 1721, primo imperatore di Russia. Il suo regno ebbe inizio nel 1682. Venne considerato dai suoi contemporanei come il tipico rappresentante del sovrano illuminato. Come Imperatore operò sotto la direzione dei principi del giurisdizionalismo. Tuttavia come autocrate, fu molto severo nelle dure repressioni delle rivolte. Fu il fondatore della città di San Pietroburgo., poi c’è EkaterinaCaterina II di Russia (Sofia Federica Augusta di Anhalt-Zerbst, di origine prussiana (1729-1796) conosciuta come Caterina la Grande, fu imperatrice di Russia dal 1762 alla morte. Fu uno dei più significativi esempi di dispotismo illuminato. Sotto il suo regno l'Impero russo accrebbe la sua potenza e visse uno dei periodi di maggior riconoscimento a livello europeo. e poi abbiamo Lenin e Stalin. La storia di quel pezzo del mondo sta in 10-15 pagine. Chiaramente è abbastanza poco. E tutta l’Est Europa è descritta continuamente con degli aggettivi che si ripetono. E l’aggettivo principale è arretrata e l’altro aggetivo che si trova molto spesso è terribile. Quindi noi abbiamo una serie di conti Dracula che vanno a partire dai persiani che si scontrano con Atene fino a Putin ma sono descritti sempre nello stesso modo, sembrano tutti uguali. E io pensavo che non potesse essere così. Perché se questo Oriente terribile fosse veramente così arretrato, non rappresenterebbe una minaccia. E se fosse veramente così terribile avrebbe cambiato il modo di vivere già da tanto tempo. Però il paradigma utilizzato dalla divulgazione storica, non dagli storici professionisti, è sempre stato quello. E io per qualche motivo che adesso non so spiegarti ero un po’ affascinato da questo mondo e volevo andare a vedere cosa c’era di vero e cosa c’era di falso e soprattutto cosa ne pensavano quelle persone che abitavano lì. Con la storia antica tu questo non lo puoi fare. Invece con la storia contemporanea sì. Nel senso che tutte le persone che vivono adesso in Europa Orientale hanno dei nonni che hanno conosciuto e che possono raccontargli l’argomento che era l’argomento dei miei studi. E possono dire come hanno vissuto loro.
– Quindi tu hai deciso di diventare storico in età giovanile, proprio al liceo?
– Diciamo dalla fine del liceo. Perché non mi convinceva questo tipo di narrazione che ci veniva proposta. Perché mi sembrava troppo semplificata. Poi più tardi quando facevo già l’Università ho letto un libro molto importante per me. È un libro di un palestinese, Edward W. SaidEdward Wadie Said (1935-2003) è stato uno scrittore statunitense di origine palestinese. Fu anglista, docente di inglese e letteratura comparata alla Columbia University, teorico letterario, critico e polemista, particolarmente noto per la sua critica del concetto di Orientalismo introdotta nell’omonimo saggio Orientalism (1978)., che si chiama “Orientalismo”. Credo che sia stato scritto negli anni 70. Questo storico palistinese cerca di studiare come l’Occidente, in particolare la Francia e l’Inghilterra ma non solo, hanno sempre rappresentato i territori che confinavano con loro. E li hanno rappresentati secondo lui con delle caratteristiche esotiche che si ripetono. Quindi non consideravano i popoli del confine come persone uguali a loro, ma le consideravano come genti che vivono secondo usi e costumi non del tutto comprensibili e non del tutto razionali. Mi è sembrato che questo tipo d’interpretazione valesse molto anche per l’Europa slava. Spesso, quello che agli occidentali piace sentire quando uno storico o semplicemente un giornalista o diciamo un umanista occidentale va in Polonia o Ungheria oppure in Ucraina, in Lettonia, in Russia, insomma quello che spesso ci interessa, è il folklore locale, sono i costumi tradizionali, i balli e tutto questo in una cornice folkloristica che non tiene conto di quali sono i sentimenti o le emozioni di queste persone. E poi invece ci sono dei momenti in cui l’europeo occidentale è costretto a accorgersi che l’Oriente ha un peso. Quando vediamo che il primo uomo nello spazioJurij Gagarin (1934-1968) è stato un cosmonauta, aviatore e politico sovietico, primo uomo a volare nel cosmo, portando a termine con successo la propria missione il 12 aprile 1961 a bordo della Vostok 1 e segnando in tal modo una pietra miliare nella corsa allo spazio. è partito dal cosmodromo di Bajkonur (Kazakistan) ci ricordiamo che anche quelli sanno fare delle cose. E allora ci fanno paura. Capisci cosa voglio dire, ero sospettoso nei confronti della narrazione che ci veniva proposta perché mi sembrava finta. E allora volevo cercare di capire personalmente. Questo era un motivo per cui dopo l’Università non ho fatto il dottorato, non sono rimasto in Italia ma mi sono trasferito e ho passato la metà della mia vita in questi paesi e poi quando venivo a casa i miei amici mi chiedevano come facevo a vivere lì.
– Infatti fino agli ultimi anni quando parlavo con gli italiani dell’Ucraina la consideravano come una parte della Russia.
– Non avevano la concezione precisa dei confini, ma non solo dei confini. Il problema non è quello, perché i confini sono cambiati molte volte durante la storia, lo sai meglio di me. Quello che molti italiani non riescono a capire è che in questi paesi ci sono delle persone molto più simili a noi di quello che ci viene raccontato. E anche tutti questi tratti che ci vengono descritti sono funzionali a un tipo di racconto che sposta il confine a volte più a Ovest, a volte più a Est ma è funzionale al mantenimento del confine stesso. Invece a me non piaceva questo confine perché disumanizza gli altri dicendo: chi è dentro allora è bravo e chi è fuori invece deve stare fuori. Non deve contaminarci con le sue malattie culturali totalitarie, con le sue religioni da infedele e con i suoi usi e costumi da barbaro.
– Non ti sembra che sia una cosa molto antica?
– Di certo lo fanno tutti, nel senso che tutti i nazionalismi si basano su un discorso di divisione tra noi e barbari.
– Una domanda forse stupida ma mi interessa come risponderesti: secondo te la storia è lineare?
– Anche questa non è una domanda facile. La storia non è né lineare né circolare, la storia è a spirale perché le situazioni si ripetono ma c’è un progresso.
– Tu ci credi?
– Sì, non si ripetono mai nello stesso modo. È un progresso che non è necessariamente una parola positiva. Quando fai i paragoni, tengono sempre fino ad un certo punto. Perché sai, anche in questi giorni se ne sentono tantissimi con le situazioni storiche passate. Però la realtà non è quella che vogliono dipingere i propagandisti.
– Secondo te perché si ripetono certe situazioni storiche?
– Perché ci sono delle regole. Se noi vediamo la sociologia o l’antropologia, esse come scienze cercano di definire le regole del comportamento umano collettivo. I sistemi economici e quelli politici funzionano secondo delle regole. Che per dei periodi sembrano assolute e poi invece vengono ribaltate. Le situazioni si ripetono perché la natura umana non può essere cambiata in modo fondamentale. Può essere cambiata la cultura.
– Ma la cultura influisce al comportamento delle persone o non tanto?
– La cultura influisce molto secondo me perché la cultura è una cosa che crea nella testa di una persona il suo sistema di sicurezza che è basato sui suoi pregiudizi. Per esempio se ti hanno insegnato da piccolo che il rospo è un animale nocivo, quando tu vedi un rospo dici: che schifo. Però in realtà non c’è nessun dato scentifico che dimostra la pericolosità del rospo. Puoi toccarlo, puoi andargli vicino, puoi giocare con lui perché è un animale inoffensivo. Il nostro sistema di pregiudizi chiaramente può essere compilato a piacere. Per esempio in Italia e nel mondo è molto diffusa l’idea che i musulmani sono cattivi. Però i musulmani sono centinaia di milioni e ce ne sono diversi. Ma per arrivare a pensare questo tu devi fare uno sforzo. E lo puoi fare se hai gli strumenti culturali che ti permettono di farlo. Se invece abiti in un piccolo paese dove tutte le persone sono convinte di una cosa, allora tu non avrai mai motivo di fare uno sforzo per capire che magari ci sono dei musulmani con cui puoi fare amicizia. La cultura influisce in questo senso.
– Nella situazione di guerra che vive ora il mio paese si forma un tipo di cultura in bianco e nero che è facile da spiegare ma è troppo difficile da accettare.
– Sono processi lunghi e purtroppo si formano appunto per delle ragioni storiche. Però vedi cosa succede quando ci sono dei conflitti: le coscienze storiche formate in questo periodo sono datate, cioè hanno una durata nel tempo. Sono tutte basate su dei pregiudizi, e per distruggerli serve molto più tempo che per costruirli. Quello che sta succedendo adesso da voi con la cultura è un processo molto radicale, un processo di radicalizzazione delle posizioni per cui hai due opposte visioni del mondo che cercano di imporsi su una popolazione e poi se vai a parlare con tutte le persone loro ti presentano varie sfumature. Per me sono sempre più importanti le sfumature rispetto alle visioni ufficiali. Perché le visioni ufficiali sono esageratamente semplici. È sempre un discorso relativo a dove stabilire il confine.
– Io mi sono sempre considerata una persona libera e non riuscivo mai a capire perché tracciare i confini è sempre così attuale per i vari popoli?
– La questione del confine non dipende tanto dai popoli quanto da chi governa e da chi controlla la loro economia. Non credo che un confine possa portare vantaggio a nessuno se noi escludiamo il discorso del controllo. Per esempio se io produco delle macchine e ho un mercato che comprende 10 città e non voglio che ci siano dei concorrenti che vendono le automobili nelle stesse città. Allora stabilisco un confine entro il quale posso commerciare solo io. E questo confine lo difendo militarmente. Se qualcun altro vuole invece espandere il suo mercato deve in qualche modo riuscire a violare il mio confine e a spostarlo. Però chi ha bisogno di comprare un’automobile non vede tanto la differenza tra me e il mio concorrente. Io credo che quando si sono svolte tutte le grandi guerre europee, proprio tutte, a partire dal tempo dei greci, in realtà per i contadini cambiava pochissimo la lingua parlata dell’imperatore che li controllava in quel momento. I contadini continuavano a parlare la loro lingua e a vivere come schiavi. Quello che invece aveva dei vantaggi era l’imperatore, erano i suoi nobili, in parte i suoi commercianti. Adesso in realtà credo che la situazione sia ancora simile. Noi vediamo che nel mondo non siamo ancora riusciti a uscire dalla logica delle sfere di influenza. Ci sembra che l’unico modo per uscirne sia unificare tutti i paesi sotto un unico impero come nei tempi dei romani. Questa logica è normalmente la logica dei paesi grandi e plurinazionali che cercano di espandere sempre di più i loro confini oppure di non perdere il controllo su determinati territori. Poi ci sono tutti questi territori che stanno in mezzo, che non vedono troppa differenza tra gli imperi concorrenti e non percepiscono grandi vantaggi a stare né con l’uno né con l’altro ma non hanno la forza di stare da soli. Altrimenti diventerebbero loro stessi delle grandi potenze che si creerebbero un’area d’influenza. Se non vogliamo dare giudizi di valore su chi è più bravo e chi è più bello, la logica secondo cui si sono mossi i confini in Europa per i duemila anni che abbiamo potuto studiare è stata questa. Credo che non sia ancora finita. Però credo che dovrebbe finire perché adesso abbiamo un livello culturale che dovrebbe permetterci di liberarci da questi tutori. Però i tutori non vogliono liberare le persone e i territori che controllano. Dobbiamo aspettare ancora qualche secolo.
– Cosa pensi della democrazia?
– Allora, la democrazia è una bellissima parola però la società greca che si chiamava così era una società dove erano in grado di esercitare la democrazia alcune centinaia di persone e tutti gli altri erano degli schiavi a vario titolo. Adesso se noi andiamo a vedere i sistemi che si proclamano democratici, sono sistemi dove in realtà di governo del popolo ce n’è molto poco perché sostanzialmente sono dei sistemi in cui la parola democrazia è utilizzata per definire un sistema economico-politico dove ci sono delle persone che detengono il potere economico che possono finanziare dei politici i quali vanno poi a governare e fanno gli interessi di quelli che hanno il potere economico. Oppure vanno direttamente a governare i miliardari. Questa è la parte del mondo che si proclama democratica. Non è negli interessi di tutta la popolazione, è negli interessi di un’élite economica. Io credo che questo sistema sia molto lontano dall’ essere un sistema ideale. C’è il discorso delle libertà civili che è un discorso molto importante però sono tutte limitate all’individuo. Mentre invece in questa parte del mondo io tenderei a definire il sistema più liberale che democratico. Liberale, perché appunto è basato più sulle libertà individuali che puoi esercitare nella misura in cui hai i soldi per farlo. La differenza tra quello che ho visto in Kazakistan, in Iran o in Italia è quasi nulla. Nel senso che se una persona si oppone al potere politico viene privata di tutte le libertà. Se non si oppone allora può fare quello che vuole. Credo che quello che viene proposto adesso dai mezzi d’informazione come un confronto tra i paesi democratici e quelli non democratici sia in gran parte falso. Sono tutti paesi che hanno un sistema molto simile, basato sull’economia di accumulazione del capitale, è un sistema che dà potere a chi controlla il capitale. Poi alcuni di questi Stati hanno anche parallelamente un proprio apparato di sicurezza che esercita il potere militare. Uno di questi Stati sono gli Stati Uniti quindi di nuovo non è una differenza sostanziale tra i paesi democratici e no. Per questo credo veramente che ci sia molta retorica, che sia un grosso mito. La differenza c’è più sulle libertà individuali ma anche qui è abbastanza relativa.
– Sei stato in Ucraina?
– Sì, sono stato in Ucraina nel 2013. Ci ho lavorato per alcuni mesi, ero basato a ŽytomyrŽytomyr è una città storica dell'Ucraina occidentale. , andavo spesso a Kyiv perché Žytomyr era una città piuttosto noiosa dal mio punto di vista. Invece Kyiv è una città più interessante dove ci sono molti eventi culturali. E sono stato sempre per lavoro alcune volte a Dnipropetrovsʼk (Dnipro)Dnipro, fino al 2016 Dnipropetrovs'k, è una città dell'Ucraina orientale, è la terza città del paese per popolazione dopo la capitale Kiev e Charkiv..
– Che impressione ti ha fatto?
– Mi ha fatto l’impressione di essere un paese in una forte crisi. Già allora soffriva di una crisi d’identità molto forte, c’era una crisi economica, c’era molta disocuppazione e molte situazioni diciamo socialmente critiche soprattutto a Žytomyr. E poi in provincia si vede di più. Non era una città sicura ma abbiastanza pericolosa. Poi a Žytomyr c’era una forte presenza di estremisti di destra che si vedeva nella società. Era interessante perché mi aspettavo che loro avessero dei problemi con i russofoni o con i russi invece non era così. Avevano i problemi con gli ebrei e con i neri. Questo si percepiva molto perché c’erano delle scritte per la strada, c’erano dei gruppi che giravano. Io avevo un collega cubano che veniva continuamente fermato e gli davano fastidio. Indagando su questo ho visto che era presente anche nell’istruzione un orientamento marcatamente nazionalista. Veniva in qualche modo evidenziata la particolarità dell’Ucraina, della lingua, della storia, dei cosacchi e si insisteva molto su questo. Però credo che questi discorsi avessero presa proprio perché il paese era povero e in crisi. A Dnipro invece c’era la situazione opposta: si stava meglio, la città era più pulita. Credo che al tempo fosse governata dalla sinistra e lì ho conosciuto molte persone che sostenevano il partito comunista di Simonenko e c’era anche una componente ebraica più forte. E quindi mi sembravano effettivamente due mondi opposti.
– È vero che siamo molto diversi. Secondo te che futuro potremmo avere se guardiamo dal punto di vista di uno storico?
– Vedi Jaroslava, la lingua non è un motivo sufficiente per spararsi addosso. Non lo è nemmeno la religione. Credo che l’Ucraina avrebbe potuto stare insieme tranquillamente anche per sempre se si fossero concesse più le autonomie locali e se ci fosse stata una situazione internazionale diversa. Perché credo che questo conflitto sia stato voluto più da chi c’era attorno che dagli stessi abitanti dell’Ucraina. Vedi abbiamo attorno all’Ucraina due imperi in crisi. Gli imperi in crisi sono pericolosissimi. In Ucraina si è diffuso molto soprattutto tra i giovani questo mito dell’Unione Europea che però in realtà è molto debole. Se andiamo a vedere la realtà è che l’Unione Europea è in crisi fortissima: non è riuscita a definirsi come entità politica autonoma, è rimasta in molti campi un’estensione degli Stati Uniti, mentre in altri ci sono forti differenze e tensioni. Se vai a vedere nel Parlamento parlano inglese, l’Unione Europea non ha il suo esercito, ha il suo Parlamento però le decisioni vengono prese dalle commissioni che sono nominate e non sono elette dai cittadini. Quindi di democratico non c’è molto. Quello che attirava e che attira ancora molti est europei sono le sovvenzioni che tu ricevi se vai ad abitare in Germania.
Credo che la Russia non riesca ad essere un concorrente vero dell’Europa principalmente per questo motivo. Nel senso che la Russia non è un polo di attrazione per l’emigrazione dall’Europa dell’Est o comunque non più di tanto perché se vai in Russia poi ti pagano la metà di quello che ti pagano in Spagna. Però il discorso della democrazia qui non c’entra. Se tu vai in Spagna a rispondere al telefono ti danno mille euro, è questo l’importante, almeno nella maggior parte dei casi. Però poi tutto questo è stato portato al livello politico, quando già vent’anni fa si diceva: ah, adesso entriamo nell’Unione Europea! Prima di tutto è poco realistico che l’Ucraina entri nell’Unione Europea anche adesso. E lo era molto meno 10 anni fa. Quando noi parliamo del sistema politico, anticorruzione, democrazia, sviluppo ecc. in gran parte si rifà a quello che ti dicevo prima del conte Dracula. Esiste quest’idea che se tu sei un po’ all’Est allora da te governa il conte Dracula. E quindi c’è la corruzione, c’è l’arretratezza, c’è la crudeltà. Mentre invece in Francia no. Però non è del tutto vero. In Francia, in Spagna, in Germania girano molti più soldi. Ma la corruzione c’è, a livelli paragonabili tranqullamente a quelli dell’Europa dell’Est. E la democrazia è assente nella stessa misura. Anche Merkel ha governato tanto quanto Putin, quanti anni un presidente resta in carica non è un parametro valido. Credo che tu mi capisca bene quando faccio questi discorsi che sono molto lontani da questi che possono essere i discorsi ufficiali. Nessun presidente può dire: noi dobbiamo entrare nell’Unione Europea perché così tutti i nostri giovani possono emmigrare. Però se vai a fare un giro nei paesi Baltici puoi vedere che effettivamente ci sono solo vecchi. Non ti parlo di grandi città. Se vai nel centro di Riga ci sono anche dei giovani. Ma se ti allontani dal centro vedi solo vecchi perché tutti i giovani lavorano nell’Unione Europea. E come se la Lettonia o l’Estonia, o la Lituania fossero delle appendici che producono forza lavoro a basso costo. Questo per loro va bene nel senso che i giovani poi mandano i soldi ai loro genitori che riescono a vivere un pochino meglio che con le pensioni che prendono. Però cosa è costato questo processo? Tu hai dei paesi ultra nazionalisti che parlano tanto delle loro tradizioni, della loro storia ma difatti ci vivono solo dei vecchi. Tutte le ragazze vorrebbero avere un fidanzato spagnolo o anche marocchino basta che sia dell’altro paese, tutti i ragazzi vogliono fare i muratori in Germania perché così possono comprare la macchina. È una situazione abbastanza deprimente.
– Anche da noi era così soprattutto dalla fine degli anni 90 in poi.
– Sì, e anche in parte è ancora così. La differenza è che per un ucraino è più difficile andare a vivere o lavorare in Europa. Credo che il discorso fatto dalla Russia per avvicinare l’Ucraina non abbia funzionato principalmente perché la Russia non può offrirti uno stipendio paragonabile a quello europeo. Altrimenti avrebbe potuto anche funzionare perché tutta l’attrattiva per l’Europa deriva da quel fatto, se tu trovi un lavoro in Europa almeno mille euro te li danno. È una cosa interessante che il confine mentale dell’Europa è rimasto lo stesso che era nel 1980. Se tu parli con un lettone o un rumeno loro ti dicono: andiamo a lavorare in Europa. Come se loro non fossero già in Europa. Mi ricordo che tantissimi anni fa viaggiavo in autobus. Ero ancora studente, facevo l’Università ed ero a Minsk. Cercavo un pullman che mi portasse a Bratislava. Quindi sono andato alla sede di Eurolines e loro mi hanno detto che gli autobus andavano solo in Europa, come se Bratislava fosse in un altro continente. Mentre c’erano dei manifesti per tutta la città di Minsk che dicevano che il centro geografico dell’Europa si trova in Belarusʼ.
– Anche da noi un tempo dicevano così.
– Sì, il centro geografico dell’Europa si trova in un sacco di posti.
– Secondo me è uno sguardo provinciale in senso negativo.
– Sì, credo che dipenda molto da questo. Le aspettative che i paesi dell’Est hanno nei confronti di questa mitica Europa prima di tutto andrebbero ridefinite appunto su questo confine qui. Per loro l’Europa è definitivamente l’Europa dell’Ovest e questo dipende dal fatto che loro si aspettano di trovare lì uno sviluppo che gli consenta di arricchirsi. Esattamente come gli abitanti dei paesi piccoli vanno alla capitale o nelle città grandi. Credo che questo dipenda dal fatto che noi abbiamo uno sviluppo molto ineguale. Ci sono delle zone dove è possibile trovare un lavoro e ci sono delle altre dove invece non è possibile. E ci sono delle zone che offrono delle garanzie sociali e altre no. Se ci fosse una politica, perché deve essere una decisione politica, che promuove un qualche sviluppo anche delle zone periferiche, il discorso cambierebbe. Però gli unici che hanno provato a fare questo sono stati i sovietici quando hanno provato a sviluppare tutte quelle aree dell’Unione Sovietica che erano lontane da Mosca. Però non ci sono riusciti o comunque non del tutto. Perché in qualche modo è un processo naturale. Se tu lasci che il capitale si sviluppi in maniera selvatica e indipendente senza regole lui si sviluppa dove c’è già. E non riesce a trovare i motivi per sviluppare delle zone dove non era già presente. Non lo so, credo che per invertire questo processo bisognerebbe principalmente creare dei poli di sviluppo, ma quando tu provi a crearli artificialmente l’unica cosa che si sviluppa è la corruzione. Per esempio un caso molto emblematico è quello di Varsavia. Se tu vai a Varsavia oggi oppure ci andavi 20 anni fa vedi due città diverse. Ma come è sviluppata Varsavia? Si è sviluppata in buona parte sulla base della corruzione. Perché è naturale che questo processo venga avviato. Se tu non metti dei limiti e dei controlli il capitale si sviluppa così. E adesso Varsavia è l’unico punto che in qualche modo in Polonia ha una qualche attrattiva. È meglio che niente però non è fantastico.
– Ho capito. Ora cambiamo un po’ il discorso. Tu conosci tante lingue ma mi interessa dove hai studiato il russo?
– L’ho studiato all’Università di Torino, poi ho fatto uno scambio universitario a Riga. E poi lo sto ancora studiando perché non è una lingua facilissima. Posso ancora perfezionarla parecchio.
– Sei anche insegnante della lingua italiana per stranieri. Come hai cominciato questa attività?
– L’ho cominciata principalmente perché era un modo di vivere all’Est. Ho cominciato a farlo a Teheran, in Iran. Poco dopo la fine dell’Università il professore con cui mi sono laureato mi ha detto che cercavano un insegnante di italiano al liceo di Teheran e io ho deciso di andarci e ci sono rimasto tre anni. Poi sono ritornato in Italia ma non sono riuscito a trovare lavoro perché nel frattempo è arrivata la crisi del 2008. E così sono andato a lavorare prima in Uzbekistan e poi in Russia insegnando l’italiano.
– Ma anche adesso insegni?
– Sì. Quando lavoravo in Russia mi hanno proposto di lavorare per un’azienda di costruzioni italiane e ho accettato perché pagavano molto bene. Lavoravo nell’ufficio acquisti ma il mio progetto era mettere via i soldi perché volevo aprire una scuola d’italiano a OdessaOdessa è una città dell'Ucraina meridionale sul mar Nero, principale porto del paese..
– Ci sei riuscito?
– No, perché nel frattempo la situazione in Ucraina è precipitata: c’è stata l’occupazione della Crimea, c’è stata la separazione del Donbass, a Odessa hanno cominciato a sparare ai sindacalisti, e ho pensato che forse non era il momento migliore. E così ho aperto la scuola d’italiano ma l’ho fatto a Astana. È una città meno allegra, ma al momento era un investimento più sicuro.
– Perché inizialmente volevi aprire una scuola a Odessa?
– Perché Odessa è un posto molto affascinante dove si incontrano tante culture, almeno si incontravano. Ho paura di pensare a cosa diventerà Odessa tra un anno. Era un posto dove era diffusa una mentalità abbastanza aperta, c’erano tanti eventi culturali, è un posto sul mare con un ottimo clima non molto lontano dall’Italia. Aveva molti elementi positivi. L’ho scelta su quella base lì. Non era Kyiv dove avrei avuto troppa concorrenza.
– Hai una lingua straniera e la cultura straniera che ti sono più vicine? Perché?
– La lingua straniera in cui riesco a pensare ed esprimermi meglio è il russo. Però io faticherei a definire la cultura russa come una cultura vicina perché quella che mi è più vicina è una cultura che definirei più sovietica che russa. Cerco di spiegarti meglio: è una cultura che si esprime in russo ma non rappresenta una nazione. È una cultura multinazionale. La cultura russa di adesso non è più così. Esiste parallelamente alla cultura russa la cultura russofona che è molto più interessante di quella russa. Avrai intuito che non ho una grande simpatia per i nazionalisti e nemmeno per l’ideologia ufficiale in Russia che secondo me è un grosso passo indietro. Io ho tanti amici in Russia, però la direzione che sta prendendo la cultura che si sviluppa lì non mi piace molto. Sono contento che comunque anche in Russia esistano molte persone intelligenti che riescono a vedere al di là di quello che sta succedendo. Credo che stiano vivendo un momento difficile perché tutti devono schierarsi e può essere molto pericoloso.
– Se ritorniamo alla questione di insegnare, secondo te che qualità principale deve possedere un insegnante in generale?
– Secondo me principalmente l’empatia. Quando tu insegni una lingua porti con te il bagaglio che questa lingua rappresenta. Devi riuscire a capire molto bene quale è l’ambiente da cui provengono i tuoi studenti perché solo in questo modo riesci a trasmettere l’idea dell’ambiente da cui provieni tu. La lingua è una matematica delle emozioni. Tu sai che ogni tanto traduco delle poesie. Quando cerchi di tradurre una poesia ti rendi conto di qual è veramente la difficolta della lingua. Spesso ho conosciuto degli insegnanti che non avevano un bagaglio da traduttori. Io sono diverso da loro. Se tu non hai il bagaglio da traduttore per te la lingua è una matematica pura. Puoi essere un ottimo insegnante perché sei in grado di spiegare i meccanismi che regolano la lingua. Però manca tutto l’elemento emozionale che invece per me è più importante. Però non ti sto dicendo che è il modo giusto.
– Ti capisco benissimo perché anche per me è l’unico modo possibile di insegnare la lingua. Non so farlo in un altro modo. Secondo te è un mito o la verità che esistono le persono portate per le lingue?
– Allora, sì e no. Dipende molto dall’interesse che hai. Io conosco tante persone che hanno girato il mondo e parlano solo un po’ l’inglese. Probabilmente gli bastava per quello che dovevano fare e non avevano la curiosità necessaria per sviluppare delle altre abilità. Se tu invece sviluppi un’attrazione per un’altra cultura è difficile non sviluppare anche l’attrazione per la sua lingua. Tu cerchi a sentire quella lingua, vuoi apprendere la cultura che ti interessa attraverso quella lingua. E questo secondo me è la chiave. Per esempio adesso insegno principalmente all’Opera, ho degli studenti che sono solisti e che sono in grado di cantare per un’ora e mezza in italiano o in tedesco ma in molti casi non parlano queste lingue. Il loro interesse principale è ripetere le parole con il miglior accento possibile. Io correggo i solisti sia in italiano che in tedesco e in francese. Vedo però che per i solisti è importante capire cosa dicono e provano i loro personaggi. Però andare a comprare un pacchetto di sigarette in tedesco non gli interesserebbe. Quindi dipende da cosa ti interessa imparare e da quanto sei disposto a lavorarci. Tra i migliori studenti che ho avuto c’erano le ragazze che avevano un fidanzato italiano. Avevano un’attrazione per la lingua pratica cioè non le interessava la letteratura o la musica, le interessava avere la possibilità di capire che cosa diceva la mamma del loro ragazzo. Erano molto interessate, facevano gli esercizi, guardavano i film e studiavano tantissimo e poi hanno imparato bene. Chissà se erano portate... non lo so. Ci sono delle persone che hanno un orecchio musicale come i cantanti ma sono portati per la musica non per le lingue. E loro decifrano la lingua come se fosse una melodia e poi sono in grado di riprodurla. Forse quelli che sono portati per le lingue hanno questo orecchio musicale?
– La letteratura nella tua vita occupa un grande posto?
– Sì, abbastanza.
– Hai qualche scrittore preferito, classico o magari contemporaneo?
– Ne ho tanti. Posso dirti che generalmente a me interessa la letteratura perché ho un approccio antropologico alla cultura. Quindi quando parlo di letteratura antica mi interessa capire i miti fondativi dei popoli e poi come essi hanno influito alla storia. Quando parliamo invece della letteratura moderna o contemporanea a me piace la letteratura che si fa voce di un popolo. Preferisco quegli autori che hanno come personaggi quelli che una volta si definivano le persone comuni. E invece ho una certa ostilità nei confronti degli autori che parlano di principi e principesse a meno che non riescano a dare un’interpretazione un po’ più corale della storia. Per esempio a me piacciono di più i personaggi di Dostoevskij che quelli di Tolstoj proprio per questo motivo. Per un’idea di società diversa, più completa.
– E quanto agli scrittori italiani?
– Allora, degli scrittori italiani che sono più vicini a noi a me piace molto Pavese. Mi piace molto anche Calvino. Per andare ancora più vicino mi piace Umberto Eco, è uno di cui ho letto tutto. Più vicino ancora è Michele Mari perché ha questo realismo fantastico che trovo interessante.
– E cosa pensi di Baricco?
– Baricco non mi piace perché secondo me lui è troppo tecnico. È più innamorato della tecnica che dell’argomento della narrazione.
– Ti piace Pavese come scrittore o come poeta?
– Come scrittore. In realtà nonostante io sia uno che traduce le poesie non sono particolarmente innamorato della poesia, preferisco la prosa perché secondo me essere un bravo poeta è proprio difficilissimo hai troppo poche parole per esprimere i concetti difficili. Alcuni ci riescono e quando ci riescono è fantastico. Però dal mio punto di vista sono pochissimi. Leggo molta poesia ma trovo pochissime poesie che riescono a commuovermi.
– Quando fai la traduzione di una poesia, da che cosa comincia il processo del tuo lavoro?
– Prima di tutto cerco di capire bene la poesia. Poi faccio una traduzione grezza e poi aggiusto la traduzione. Per capire bene la poesia se è in russo, la riscrivo in russo però usando più parole e cerco di concordarla con l’autore. Quando traduco dal bielorusso prima traduco in russo perché il bielorusso è una lingua che non sono in grado di parlare. La posso capire soprattutto quando è parlata, quando è scritta invece spesso gli autori usano delle parole che poi quando parlano non usano. Lo stesso con la lingua ucraina. Cioè capire l’ucraino parlato per me è molto più facile che capire quello scritto.
– Allora puoi dirmi il nome di qualche poeta che per te adesso è attuale?
– Gli ultimi di cui mi sono occupato sono i poeti di Kazakistan. Sono abbastanza diversi tra loro. Ti dico due cose di letteratura che mi sono piaciute negli ultimi anni. Sono tutti e due libri di autrici russofone: uno è Zuleika apre gli occhi della tatara Guzelʼ JachinaGuzel' Jachina (1977) è una scrittrice e sceneggiatrice russa di origine tatara. Il suo romanzo d'esordio, Zuleika apre gli occhi, ha vinto il Big Book Award ed è stato tradotto in diverse lingue. La storia è ambientata nel 1930 durante il periodo della dekulakizzazione voluta da Stalin, quando milioni di kulaki, la classe dei contadini benestanti, vennero arrestati e deportati in Siberia per poter espropriare e collettivizzare i terreni di loro proprietà. e l’altro invece è La casa del tempo sospeso dell’armena Mariam PetrosyanMariam Petrosyan (1969) è una fumettista, pittrice e scrittrice armena. È conosciuta in particolare per il suo romanzo La casa del tempo sospeso, tradotto in oltre 10 lingue e vincitore di diversi premi. Il romanzo è considerato di genere realismo magico e racconta di un collegio, situato in una periferia di una anonima città, in cui vivono ragazzi disabili o abbandonati dalle loro famiglie, e delle avventure da loro vissute all'interno della Casa.. Ho letto tutti e due sia in italiano che in russo. E credo che tutti e due siano stati scritti direttamente in russo. Tu li hai letti?
– Ho cominciato a leggere Zuleika... proprio in febbraio ma è scoppiata la guerra, e La casa..., l’ho scaricato ma durante gli ultimi mesi non avevo né tempo né voglia di leggere. Ora sto leggendo solo le notizie.
– Ti capisco perché anch’io da gennaio, quando c’è stata la rivolta in Kazakistan, e poi quando è cominciata la guerra in Ucraina, e anche adesso leggo troppe notizie invece di leggere dei romanzi.
– Tranne la letteratura c’è qualche genere d’arte che ti ispira?
– Sì, mi piace la pittura e ci sono anche degli artisti contemporanei che seguo. Mi piacciono queste che illustrano le fiabe.
– E le fiabe ti piacciono?
– Sì. Uno dei libri importanti nella mia vita è quello di ProppVladimir Propp (1895-1970) è stato un linguista e antropologo russo, poi sovietico. Le radici storiche dei racconti di fate. Penso che sia un libro geniale che mi ha abbastanza aperto gli occhi. E dopo averlo letto ho riletto moltissime fiabe perché è una forma di cultura che mi interessa. La uso per provare a capire la mentalità dei popoli.
– Ma nell’infanzia avevi qualche libro di fiabe preferito?
– Ne avevo qualcuno ma sai poi ci sono ritornato perché nell’infanzia tutto questo si mischia ad altre fonti. Quando tu sei un bambino il tuo immaginario da bambino contemporaneo si basa molto anche su altre cose per esempio su cartoni animati o i film, o giochi. Quindi non ho un libro preferito dell’infanzia che mi ricordo. Ci sono ritornato da adulto. Per esempio quando ti ho detto che mi è piaciuto tanto il libro La casa del tempo sospeso la dimensione fiaba lì è molto presente ed è presente anche in Zuleika.... per me in realtà è una cosa importante nella letteratura.
– Posso chiederti di raccontare un po’ della tua famiglia, delle tue origini?
– Sì, sono figlio di due impiegati che lavoravano all’Olivetti. La famiglia di mio padre è calabrese quindi i miei nonni paterni erano migrati nell’Italia del Nord dopo la guerra, invece la famiglia di mia mamma è originaria del Piemonte ed erano contadini e quelli di mio padre erano operai. I miei genitori sono venuti ad abitare nel paese di mia mamma che si chiama Villareggia dove i miei nonni avevano la casa e i miei genitori hanno comprato una casa e abitano ancora lì. Era un paese di contadini e quindi da piccolo potevo passare molto tempo a giocare nel bosco, sono andato a scuola in provincia e poi sono entrato all’Università di Torino.
– Ti faccio l’ultima domanda che pongo quasi a tutti i miei interlocutori: sei una persona felice?
– Dipende dal momento.
– E allora secondo te che cosa è la felicità?
– È una condizione che non può durare perché altrimenti non sarebbe tale. E ti accorgi che c’era quando è finita. Non è necessariamente difficile da raggiungere però è impossibile da mantenere.
Ringrazio vivamente Aksana Danilčyk per l’opportunità di conoscere Marco Ferrentino.